La cessione del marchio e il riacquisto sovrapprezzo sono elusivi

Elusione fiscale: un contribuente realizza un negozio giuridico solamente per pagare meno tasse (vedi anche I contratti che eludono il Fisco possono essere riqualificati). È questa la definizione tipica che si dà di tale fenomeno, ma ci si può avvalere anche delle varie sentenze in ambito giuridico. Una delle ultime pronunce della Corte di Cassazione, ad esempio, è molto utile, in quanto ha stabilito che l’operazione con cui una società cede il proprio marchio per riacquistarlo immediatamente dopo a un prezzo maggiore è considerata elusiva.

Anche le pennette del pc sono una prova dell’evasione fiscale

Come stabilito di recente dalla Corte di Cassazione, si possono sequestrare legittimamente apparecchi e strumenti informatici nel caso di dichiarazione fiscale infedele per realizzare una vera e propria evasione delle tasse. Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, i beni in questione sono in tutto e per tutto pertinenziali al reato di cui si sta parlando (vedi anche Aumenta la differenza tra consumi e redditi dichiarati: colpa dell’evasione?).

I consumi di acqua e caffè sono indicatori presuntivi dei ricavi

La nostra amministrazione finanziaria e i giudici di merito sono i soggetti più indicati per capire quali elementi del settore della ristorazione sono utili per ricostruire in maniera presuntiva i ricavi: in effetti, il comparto in questione è caratterizzato da indicatori che hanno un peso diverso a seconda della situazione. L’accertamento che si basa sul consumo di caffè e di acqua minerale può essere considerato legittimo, visto che si sta parlando di ingredienti essenziali per le consumazioni della clientela (vedi anche Chiusi 9000 ristoranti in un anno).

La Cassazione interviene sui reati relativi alle fatture false

La decisione potrebbe sembrare strana, ma dato che proviene dal massimo grado di giudizio, la Corte di Cassazione, non si può che prenderne atto. Quasi tre settimane fa, infatti, i giudici di Piazza Cavour hanno tentato di tracciare un limite tra il reato di emissione e quello che prevede lo sfruttamento di fatture relative a operazioni inesistenti: in pratica, come stabilito in maniera puntuale dagli “ermellini”, il contribuente si macchia del reato di emissione di fatture false quando le sottopone a contabilità dopo averle ricevute, nonostante non le abbia inserite all’interno della dichiarazione dei redditi.

Per la Cassazione Inps e Inpgi hanno le stesse regole previdenziali

Quando un giornalista va in pensione, uno dei diritti più importanti è quello relativo al trattamento previdenziale: quest’ultimo, in particolare, deve essere equiparato e cumulato con i redditi da lavoro dipendente, oppure, in alternativa, con quello autonomo. Secondo la Corte di Cassazione, è questa l’impostazione da seguire in tal senso, nonostante l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani abbia disposto in maniera diversa, vale a dire la in cumulabilità parziale. La sentenza 1098 di ieri da parte dei giudici di Piazza Cavour ha spazzato via un bel po’ di dubbi, ma cerchiamo di fare ordine.

Auto potenti e accertamenti sintetici: le precisazioni della Cassazione

Le auto di grossa cilindrata sono state ancora una volta al centro dell’attenzione della Corte di Cassazione per motivi strettamente fiscali: i giudici di Piazza Cavour sono stati infatti chiamati a pronunciarsi di recente su un fatto che riguardava un contribuente e l’atto impositivo emesso proprio in ragione del possesso della vettura in questione. Cosa è successo esattamente? L’avviso di accertamento che è stato citato in precedenza era stato notificato a tale soggetto a causa del suoi possesso di due automobili e di altre quote societarie, ragione per la quale si era deciso di avanzare un ricorso di fronte alla Commissione Tributaria Provinciale.

Cassazione: nulla la notifica al vecchio domicilio fiscale

Un’altra sentenza della Cassazione ha chiarito nuovi aspetti del settore fiscale: la pronuncia in questione, la quale risale a quattro giorni fa, ha messo in luce come la notifica di un avviso tributario a quel contribuente che ha cambiato residenza non ha alcuna validità. Dunque, nel braccio di ferro tra la nostra amministrazione finanziaria e il soggetto coinvolto, l’ha spuntata quest’ultimo, visto che le stesse Entrate erano state protagoniste di una notifica presso il vecchio domicilio fiscale. L’assenza di validità, inoltre, dipende essenzialmente dal fatto che la variazione di domicilio era divenuta efficace nel periodo precedente all’entrata in vigore della riforma Bersani.

Cassazione: imposte valide anche per i mutui senza interesse

L’intervento della Corte di Cassazione rappresenta sempre un momento essenziale per la materia tributaria: questo stesso discorso, quindi, vale anche per le relative tasse immobiliari. Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, le imposte di registro, quella catastale e quella ipotecaria devono essere applicate in maniera piena anche nel caso di un contratto di mutuo privo di interesse, con la sola garanzia dell’ipoteca e posti in essere con la Provincia Autonoma di Bolzano per quel che concerne l’acquisto di una determinata abitazione. La pronuncia risale alla scorsa estate, più precisamente al mese di giugno, ma si riferisce a una questione sempre molto attuale, se non altro perché anche la nostra amministrazione finanziaria aveva deciso allo stesso modo in precedenza.

Irap, l’esclusione degli agenti di commercio

L’Irap non è una tassa che compete agli agenti di commercio del nostro paese: la constatazione deriva da una delle ultime pronunce della Corte di Cassazione, più precisamente la numero 19329 che è stata depositata proprio nei giorni scorsi e che ha messo in luce l’attività essenzialmente imprenditoriale dei soggetti in questione. Per quale motivo si è resa necessaria una sentenza del genere? La questione era sorta dopo che una Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il rifiuto della nostra amministrazione finanziaria in merito a un rimborso per l’imposta regionale in questione, nello specifico quella versata nel triennio compreso tra il 1998 e il 2000. Il contrasto era piuttosto evidente, anche se invece la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva invece dato ragione al contribuente privato, spiegando questa scelta col fatto che l’organizzazione non rappresenta un elemento connaturale dell’attività professionale, diversamente da quanto avviene per l’impresa.

Stabilimenti balneari: l’Ici non vale su tutte le aree in concessione

La Corte di Cassazione torna a far sentire chiara e forte la propria voce in ambito fiscale: Piazza Cavour è infatti intervenuta in merito al trattamento tributario che deve essere riservato agli edifici e agli immobili che sorgono in delle aree poste in concessione, più specificamente gli stabilimenti balneari. In effetti, spesso le costruzioni che sorgono all’interno di questi ultimi e su un’area demaniale appunto in concessione non subiscono alcun tipo di assoggettamento all’Imposta Comunale sugli Immobili (Ici). Come bisogna comportarsi allora? Anzitutto, bisogna ricordare che l’edificazione su queste aree demaniali è una delle fattispecie che comporta come conseguenza un diritto di natura reale.

Lavoro in nero: i compensi vanno dichiarati al Fisco

La retribuzione che viene percepita in nero non è immune dagli adempimenti fiscali: è questa, in sintesi, la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione con una recente sentenza, la quale ha chiarito una volta per tutte quali sono gli obblighi di questa casistica. Questi doveri tributari, comunque, non riguardano soltanto i lavoratori, ma anche i datori di lavoro. In pratica, il contribuente in questione deve versare al Fisco le imposte sui propri incassi, dichiarando di conseguenza i relativi imponibili; Piazza Cavour si era trovata a giudicare un caso in cui una dipendente non aveva provveduto alla compilazione della propria dichiarazione dei redditi in relazione proprio a tale tipo di compensi. In realtà, è stata appurata la buona fede, spettava infatti al datore di lavoro far sapere che le imposte dovute non erano state trattenute.

Assegni di mantenimento: la deducibilità spetta al giudice

La Corte di Cassazione aggiunge un altro tassello fondamentale alla disciplina tributaria degli assegni di mantenimento: una recente sentenza della Suprema Corte ha infatti stabilito che l’ammontare della somma stabilita non può essere modificata mediante un accordo delle parti; in pratica, questi assegni, relativi alle separazioni legali o agli scioglimenti dei matrimoni, vanno corrisposti al coniuge, ma la deducibilità relativa all’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef) va decisa di volta in volta dal giudice stesso. La pronuncia di ultima istanza è scaturita dopo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro una Commissione Tributaria Regionale. Nel dettaglio, un contribuente si era visto annullare una cartella esattoriale che gli era stata inviata per non aver riconosciuto gli oneri deducibili a titolo di assegno appunto; le motivazioni della sentenza sono state ricercate nel fatto che la deducibilità fiscale può anche essere fissata dalle parti coinvolte.

Srl: nessun contributo nell’ipotesi di partecipazione minima

La sentenza 25137 della Corte di Cassazione risale ormai a due settimane fa (è stata resa nota lo scorso 13 dicembre), ma rappresenta senza dubbio un tassello importante per quel che riguarda l’inquadramento fiscale delle società di capitali: in effetti, in base a questo pronunciamento, i soci che lavorano all’interno di una società a responsabilità limitata non hanno alcun obbligo di pagamento in relazione ai contributi sui compensi nella gestione dei commercianti. Si tratta di una delle principali iscrizioni pensionistiche, la quale può beneficiare di questo obbligo nel momento in cui la partecipazione alla società stessa viene considerata come “minima” e, contemporaneamente, non viene posta in essere una reale attività di impresa. Dunque, vi sono queste due restrizioni da rispettare e considerare con una certa attenzione.

Cassazione: l’intervento chirurgico non scosta gli studi di settore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha messo in luce una interessante realtà fiscale che coinvolge gli studi di settore: in effetti, in base alla pronuncia dello scorso 17 settembre della Suprema Corte, un intervento chirurgico non costituisce in sé e per sé un evento che può portare allo scostamento di questi parametri tributari. Tale decisione è stata giustificata, in particolare, col fatto che spetta allo stesso contribuente provare che la produzione dei ricavi è stata influenzata in maniera negativa da questa specifica inabilità. Entrando nel dettaglio della faccenda, c’è da dire che tutto è sorto a seguito di un ricorso nei confronti di una sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale aveva disposto in maniera piuttosto chiara che l’avviso di accertamento era comunque legittimo in una ipotesi del genere, anzi l’Iva e l’Irpef erano addirittura maggiorati.