Home » Deduzioni » La cessione del marchio e il riacquisto sovrapprezzo sono elusivi

La cessione del marchio e il riacquisto sovrapprezzo sono elusivi

Elusione fiscale: un contribuente realizza un negozio giuridico solamente per pagare meno tasse (vedi anche I contratti che eludono il Fisco possono essere riqualificati). È questa la definizione tipica che si dà di tale fenomeno, ma ci si può avvalere anche delle varie sentenze in ambito giuridico. Una delle ultime pronunce della Corte di Cassazione, ad esempio, è molto utile, in quanto ha stabilito che l’operazione con cui una società cede il proprio marchio per riacquistarlo immediatamente dopo a un prezzo maggiore è considerata elusiva.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, si tratta di una condotta di tipo antieconomico, visto che i costi che vengono coinvolti possono essere dedotti fiscalmente. Tutto è nato dalla notifica di due avvisi di accertamento (Ires e Irap) a una società a responsabilità limitata, ritenuti strategici dal Fisco per recuperare a tassazione la deduzione indebita di costi fittizi. La dichiarazione dei redditi e il bilancio aziendale non coincidevano, tanto che il reddito stesso è stato ricavato dalle scritture contabili, attraverso una opportuna rettifica della dichiarazione annuale. Il ricorso della srl in questione contro gli avvisi è stato poi accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale, secondo cui l’operato non poteva essere associato a una condotta elusiva né all’abuso di diritto.

Della stessa opinione, poi, è stata anche la Commissione Tributaria Regionale, convinta della infondatezza della pretesa fiscale. Il ricorso per Cassazione si è reso necessario, in quanto l’Agenzia delle Entrate è sempre stata convinta del fatto che fosse stato violato il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir) e l’obbligo di violazione. Con la pronuncia di cui si sta parlando, la cessione dei marchi d’impresa e il riacquisto dello sfruttamento parziale degli stessi a un prezzo superiore fa scattare l’abuso di diritto. Tra l’altro, gli “ermellini” hanno criticato il giudizio della Commissione, in quanto quest’ultima non ha specificato le ragioni per cui l’antieconomicità delle operazioni non potesse essere considerata una violazione tributaria.