La deducibilità fiscale delle spese di sponsorizzazione

La deducibilità fiscale non riguarda da vicino le spese che vengono effettuate in relazione alla pubblicità, alla sponsorizzazione e alla propaganda tra due società clienti: la casistica è diventata di opinione pubblica a seguito dell’intervento della Corte di Cassazione, la quale ha dovuto esprimere il proprio parere in merito a una impresa che era appunto cliente dell’altra. La motivazione è presto detta. In effetti, secondo i giudici di Piazza Cavour, in questo caso viene a mancare del tutto l’inerenza aziendale, elemento che deve essere in ogni caso provato dal contribuente che è interessato direttamente a questa deduzione di spesa per quel che concerne il proprio reddito. La sentenza in questione, tra l’altro, risale ad appena tre giorni fa.

Gli studi di settore non solo validi per i negozianti in crisi

La situazione di crisi economica in cui può incappare un commerciante o un titolare di un negozio è una delle condizioni per le quali si possono disapplicare gli studi di settore: la certezza in questione è giunta dopo una delle ultime pronunce della Corte di Cassazione, la quale ha preso in esame il caso di un contribuente che proprio per tale crisi è costretto a chiudere l’attività. Tra l’altro, bisogna ricordare che questo strumento, come ricordato in questa come in altre occasioni dai giudici di Piazza Cavour, rappresenta una presunzione semplice in merito agli accertamenti tributari, il tutto basato su specifici metodi della statistica.

Cassazione: i prestanome pregiudicano la detrazione dell’Iva

La Corte di Cassazione non poteva essere più chiara e la sua crociata contro i prestanome potrà ora beneficiare di un nuovo punto a favore: gli “ermellini” di Piazza Cavour sono infatti entrati nuovamente nel merito fiscale, stabilendo che la detrazione relativa all’Imposta sul Valore Aggiunta non può essere concessa in alcun modo quando il contribuente ha acquistato la merce da una società che rappresenta di fatto il prestanome del fornitore vero e proprio (il cosiddetto “imprenditore occulto” come si suole definirlo). La motivazione è presto detta, visto che le fatture tributarie che vengono poste in essere in questi casi sono destinate a operazioni che non esistono dal punto di vista soggettivo, quindi perché pensare a qualcosa di concreto come questa agevolazione fiscale? La pronuncia in questione risale a quattro giorni fa, ma ha una rilevanza fondamentale.

Cassazione: le penali dei contratti aziendali sono deducibili

Può accadere spesso, quando si ha a che fare con un contratto aziendale, che siano previste delle penalità al suo interno per quel che concerne le consegne effettuate in ritardo: ebbene, questa casistica va affrontata in maniera attenta e minuziosa anche dal punto di vista fiscale, visto che proprio queste penali, in base a una recente sentenza della Corte di Cassazione, beneficiano della deducibilità tributaria. Come si è arrivati di preciso a questa pronuncia? Il giudizio in questione si basa essenzialmente sul fatto che le stesse penalità si riferiscono ad attività che riguardano da vicino l’azienda e di conseguenza sono anche deducibili. Mettendo un po’ d’ordine in questa disciplina, c’è da dire che la sentenza dei giudici di Piazza Cavour risale allo scorso 27 settembre (si tratta, per la precisione, della sentenza numero 19702).

Elusione fiscale: per la Cassazione c’è anche la violazione penale

Quando si parla di elusione fiscale si è soliti fare riferimento a un fenomeno meno grave rispetto all’evasione: in effetti, si tratta di una pratica considerata non illegale ma che aggira le leggi dal punto di vista sostanziale. Eppure, anche questa è una piaga che deve essere contrastata con la stessa intensità di altre. Sembra pensarla allo stesso modo anche la Corte di Cassazione, la quale in una recente sentenza ha fatto intendere come il risparmio di imposta conseguito mediante attività elusive non può escludere sempre e comunque la violazione di tipo penale, visto che in questo caso si viene a configurare una dichiarazione tributaria infedele. La sentenza fa ben sperare in merito alla criminalizzazione dell’elusione, senza alcuna distinzione tra le condotte poste in essere come violazione dell’articolo 37 bis del Dpr 600 del 1973 (“Accertamento delle imposte sui redditi”, l’articolo in questione fa proprio riferimento alle disposizioni antielusive) e gli abusi del diritto.

Irap: lo studio associato è sempre obbligato al versamento

L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive sembra interessare molto la Corte di Cassazione: proviene infatti ancora una volta da Piazza Cavour la pronuncia che ha coinvolto questo tributo, il quale viene delineato in maniera ulteriore. Che cosa ha stabilito la Suprema Corte? In realtà, le sentenze sono due e hanno riguardato da vicino le attività di tipo professionale. La prima ordinanza risale allo scorso 30 maggio, quando i giudici del “Palazzaccio” hanno affermato che gli studi associati sono tenuti al versamento dell’Irap anche nell’ipotesi in cui gli esercizi sono inesistenti e i compensi per i dipendenti sono modesti, più precisamente quando non esiste alcun dato che sostiene un’affermazione del genere. Inoltre, se il contribuente possiede uno studio associato all’interno della propria abitazione e una sola autovettura, allora i presupposti per il pagamento vengono meno.

Sconti infragruppo: non si configura una elusione fiscale

La Corte di Cassazione ha aggiunto un altro tassello alla disciplina fiscale del cosiddetto transfer pricing: secondo la Suprema Corte, infatti, quando aziende del nostro paese e società di nazionalità estera pongono in essere delle operazioni con sconti infragruppo, queste stesse attività non hanno alcun rilievo in relazione a tale normativa. Si tratta di una sentenza piuttosto controversa e che è andata a sciogliere i dubbi sorti in merito a un contenzioso degli anni Novanta, quindi piuttosto datato. Se le imprese coinvolte fanno parte di un gruppo, la loro valutazione deve avvenire necessariamente al “valore normale”, vale a dire quel valore che rappresenta il prezzo di libera concorrenza, le condizioni che sarebbero state stabilite da parti completamente indipendenti. Nel dettaglio, questa disputa aveva riguardato un’impresa italiana e altre consociate alle prese con degli sconti solitamente non adottati sulle cessioni di beni simili a società indipendenti.

Cassazione: nessun vincolo dalle circolari del Fisco

L’ultima sentenza dal forte carattere fiscale che è stata emessa dalla Corte di Cassazione risale a quattro giorni fa: si tratta, nello specifico, dell’ordinanza 6056, la quale ha chiarito il reale valore delle circolari e risoluzioni che periodicamente la nostra amministrazione finanziaria è abituata a rendere pubbliche. Ebbene, questi documenti, in base a quanto deciso dalla stessa Suprema Corte, non sono in alcun modo vincolanti per i contribuenti interessati, anzi non rappresentano nemmeno delle fonti o diritti a cui fare riferimento, tanto che nell’ipotesi di un soggetto che si è conformato all’interpretazione di una circolare che poi è stata modificata, allora si deve scongiurare la sanzione, dato che in caso opposto si andrebbe contro il principio di tutela dell’affidamento. La pronuncia è dunque molto chiara e bisognerà tenerne conto in futuro. Quali scenari si possono prevedere?

Cassazione: niente studi di settore per chi abbassa i prezzi

La riduzione delle tariffe di vendita relative alle piccole strutture commerciali può essere considerata più che legittima: questa conclusione può essere ricavata direttamente da una sentenza di alcuni giorni fa della Corte di Cassazione, più precisamente la numero 4582. La giustificazione per questa legittimazione dipende dal fatto che queste stesse strutture devono pur sopravvivere alla concorrenza dei supermercati, dunque il titolare del negozio può liberamente abbassare i prezzi del proprio esercizio per poter competere in maniera migliore. Inoltre, in questo caso si configura anche uno scostamento con quanto viene calcolato in base agli accertamenti degli studi di settore, scostamento anch’esso legittimo. Il parametro fiscale in questione diventa pertanto inapplicabile, ma esistono anche altre situazioni in cui gli studi non hanno ragione di esistere secondo la Suprema Corte.

Licenziamento ingiusto: tassazione separata per l’indennità

La fine di un rapporto di lavoro dipendente è un’eventualità piuttosto triste, ma comunque frequente e possibile: ecco perché la Corte di Cassazione ha voluto spiegare alcuni chiarimenti in merito alla ritenuta d’acconto e alla tassazione separata che devono essere applicate alle somme ottenute dal lavoratore per il risarcimento di un licenziamento non legittimo. La sentenza in questione è la numero 26385 e risale ormai allo scorso 30 dicembre. In pratica, la pronuncia della Suprema Corte si è resa necessaria dopo che un dirigente industriale ha richiesto il rimborso del denaro versato a titolo Irpef (la tassazione separata appunto), visto che era stato licenziato senza alcun preavviso; il primo grado ha visto trionfare proprio il contribuente appena citato, il quale si è così visto risarcire l’indennità e sulla stessa linea di pensiero si è accostata anche la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia.

Cassazione: niente Irap per il medico convenzionato Ssn

L’ultima ordinanza della Corte di Cassazione ha riguardato da vicino la vasta platea di contribuenti che svolgono la professione di medico: in effetti, la pronuncia in questione, la quale reca la data di due giorni fa, è entrata nel merito dell’adempimento dell’Irap, ribadendo che l’imposta in questione non deve essere versata dai medici convenzionati, ma soltanto nell’ipotesi in cui l’organizzazione dello studio rispetti le convenzioni del Servizio sanitario nazionale. La Suprema Corte è dovuta intervenire alla luce di una vicenda che aveva riguardato appunto un medico, intenzionato a non rimborsare il tributo a causa dell’assenza di una struttura organizzata.

Doppia attività, studi contrastabili solo con prove effettive

L’accertamento degli studi di settore (lo strumento utilizzato dal Fisco per rilevare i parametri di liberi professionisti e lavoratori autonomi) non può essere contestato mediante la prova dell’esercizio di due attività distinte ma contemporanee: in effetti, come emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione (la pronuncia in questione è la numero 19957), anche in questa ipotesi è necessario provare l’incidenza sulla capacità del reddito, visto che occorrono delle giustificazioni circa il tempo minore dedicato a una determinata professione. La sentenza si è resa necessaria alla luce di un contradditorio tra un contribuente e l’ufficio finanziario a cui si era rivolto, visto che quest’ultimo aveva notificato un accertamento fiscale per i maggiori compensi che non erano stati dichiarati. Lo stesso contribuente ha visto riconosciute le proprie ragioni di fronte alla Commissione tributaria provinciale.

Lavoro nero: la Cassazione specifica la sanzione delle Entrate

La sentenza che la Corte di Cassazione ha prodotto in merito a una specifica sanzione irrorata dall’Agenzia delle Entrate risale allo scorso 22 giugno, ma essa è stata depositata in Cancelleria soltanto tre settimane fa: il riferimento, in questo senso, va a una decisione della nostra amministrazione finanziaria per quel che riguarda il lavoro irregolare ed è stata resa possibile dall’applicazione del Decreto legge 12 del 2002 (“Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare”). In particolare, il testo normativo appena citato prevede espressamente che venga inflitta una pena pecuniaria compresa tra il 200% e il 400% del costo del lavoro, una somma che viene calcolata mediante i contratti collettivi nazionali.

La pubblicità di una ditta è sempre imponibile, anche come sponsor

La pubblicità che viene realizzata con ogni tipo di comunicazione e che sia idonea a far conoscere alla gente acquirenti e clienti con nomi e recapiti deve essere sempre soggetta all’imposta sulla pubblicità: l’indicazione in questione giunge direttamente dalla Corte di Cassazione, la quale ha accolta un ricorso del Fisco con una sentenza che risale ormai a un mese fa. Che cosa è successo con esattezza? La pronuncia si è resa necessaria alla luce di una faccenda che ha visto coinvolta una spa; in pratica, questa stessa società ha impugnato tre avvisi di accertamento, visto che il suo acronimo era stato utilizzato sui capannoni aziendali e tale elemento ha portato all’assoggettabilità al tributo locale. La spa si è scagliata contro tale trattamento fiscale, chiarendo che la scritta pubblicitaria era stata utilizzata per consentire l’atterraggio ad alcune mongolfiere sportive.