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Stati Uniti: l’Oklahoma insorge contro la pressione fiscale

Negli Stati Uniti Barack Obama ha acquisito in breve tempo una popolarità ed un consenso di gran lunga superiore al predecessore repubblicano George W. Bush, ma anche di quello democratico Bill Clinton. Pur tuttavia, dopo quattro mesi dall’insediamento alla Casa Bianca del primo Presidente afro americano della storia degli Stati Uniti, per Barack Obama potrebbero arrivare le prime grane nel rapporto tra l’Amministrazione e gli Stati federati. C’è gran fermento infatti in Oklahoma dove, nonostante il veto imposto da Brad Henry, Governatore dello Stato federato, sponda democratica, la Camera ha approvato una Legge che, se arriverà anche il via libera da parte del Senato, potrebbe arrivare dritta sulla scrivania di Barack Obama. La Legge in questione, in particolare, punta a ribadire il diritto di sovranità dello Stato dell’Oklahoma, ma è strettamente collegata al fatto che la decisione di Barack Obama di puntare, in materia di sviluppo energetico, sulle fonti rinnovabili, penalizza proprio l’Oklahoma a causa di un inasprimento della tassazione sulle materie prime energetiche non rinnovabili che rischia di mandare a gambe all’area l’economia di un paese che vive di gas e di petrolio.

E non è un caso che alle ultime elezioni presidenziali in Oklahoma i cittadini abbiano votato in maggioranza per John McCain; la “troppa ecologia” di Barack Obama, infatti, rischia di essere pagata a caro prezzo dall’Oklahoma, ma a sud anche dal Texas dove, tra l’altro, il Governatore dello Stato federato, Richard Perry, nelle scorse settimane non solo aveva sostenuto i “tea parties“, veri e propri raduni da parte dei cittadini per protestare contro l’aumento della pressione fiscale, ma aveva anche parlato di possibile secessione.

E dopo il Texas anche in Oklahoma spunta la parola secessione specie se, secondo i leader repubblicani dello Stato federato, il Governo americano continuerà ripetutamente a violare l’emendamento numero dieci della Costituzione in materia di gestione dei poteri non delegati. Anche gli aiuti di Stato predisposti per il settore auto e per le banche USA, in base a tale punto di vista, rappresenterebbero un esercizio di potere da parte del Governo statunitense oltre quelli concessi; per non parlare poi del fatto che prima i soldi dei contribuenti americani vengono concessi alle società decotte per sopravvivere, e poi viene “organizzata” comunque la bancarotta.