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I Commercialisti cercano una exit strategy per abolire l’Irap

Claudio Siciliotti, presidente dei Commercialisti, è intervenuto nel corso della seconda Assemblea della categoria a Roma; il riferimento principale del suo discorso è andato alla definizione di una exit strategy per la cancellazione definitiva dell’Irap. Tale imposta viene definita dallo stesso Siciliotti come ingiusta, motivo per il quale il suo accantonamento deve essere studiato più attentamente:

Si può pensare a una strategia in questo senso, un percorso graduale al termine del quale vi sarebbe l’abolizione completa, magari anche sostituendo l’imposta con altri tributi.

Il Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti non nasconde dunque la propria avversione nei confronti dell’Irap. Come è stato precisato sempre nel corso di questa assemblea, la riduzione del 20% degli acconti Irpef rappresenta solamente una misura parziale, una ipotesi auspicati da più voci e da non abbandonare. Cosa trovano di ingiusto nell’Irap i Commercialisti?

 


Anzitutto, si ritiene che l’indeducibilità del costo del lavoro e degli interessi passivi costringano le aziende che ricorrono al credito per la loro sopravvivenza a pagare; non viene dimenticato il gettito del tributo (40% della spesa sanitaria nazionale) ed ecco perché una cancellazione definitiva può essere attuata esclusivamente per tappe. Siciliotti ritiene inoltre che la exit strategy sia volta a non penalizzare il lavoro autonomo, d’impresa e di professione, scegliendo comunque un percorso chiaro e lineare.

 

Gli ultimi accenni del discorso del numero uno dei Commercialisti sono andati alla lotta all’evasione fiscale:

Lo scudo fiscale è senza dubbio un sacrificio di legalità e può essere accettato solamente con l’avvio contemporaneo di una lotta senza quartiere ai paradisi fiscali e finanziari. Il gettito da esso derivane dovrà essere usato per far ripartire l’economia.

 

Un rimedio proposto dai Commercialisti contro l’evasione fiscale è quello dell’estensione e revisione del cosiddetto “redditometro”, mentre gli studi di settore dovrebbero continuare ad esistere, ma a livello puramente indicativo, vista la loro inefficacia in questo campo.

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