La risoluzione 164/E dell’Agenzia delle Entrate ha precisato alcune disposizioni relative all’applicazione dell’Iva nell’ambito alimentare: in sostanza, secondo quanto precisato dal documento, l’Imposta sul valore aggiunto rimane al 4% nel caso in cui il prodotto alimentare contiene una specifica quantità di grasso da latte, mentre nel caso in cui tali limiti vengano superati, un prodotto come il burro al tartufo viene considerato come “salsa aromatizzata”, categoria assimilabile ai condimenti e che sconta quindi l’aliquota del 10%. È sempre il tartufo a maggiorare il trattamento fiscale di altri prodotti, come ad esempio le farine di mais e di grano. L’interpello da cui ha preso spunto la pubblicazione di questa circolare si riferisce al caso di una ditta che aveva chiesto quale aliquota Iva applicare a prodotti contenenti tartufo e funghi porcini. Le Entrate hanno precisato anzitutto che la loro risoluzione vale solo come consulenza giuridica, in quanto la determinazione dell’imposta deriva dalla classificazione merceologica dell’alimento. Nello specifico, l’azienda ha suddiviso i prodotti aromatizzati al tartufo in tre categorie, caseari, farinacei e alimentari, prevedendo per i primi due l’Iva al 4% e del 10% per la terza categoria.