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Tassa sul celibato, uno sguardo al passato

Oggigiorno siamo soliti meravigliarci per l’aumento delle tasse, l’imposta sul cibo spazzatura e addirittura quella imposta dalle compagnie aeree sugli obesi. Eppure anche in passato ci sono state tasse perlomeno… che probabilmente oggi riterremo inconcepibili. Un esempio su tutti? L’imposta sul celibato fu un tributo in vigore in Italia durante il periodo fascista. Il proposito era quello di favorire i matrimoni e, di conseguenza, incrementare il numero dei bambini nati. Mussolini infatti puntava molto sui giovani e le giovani italiane e lo scopo era quello di aumentarne la popolazione. Secondo l’ideologia fascista infatti una popolazione numerosa era indispensabile per perseguire gli obiettivi di grandezza nazionale che l’Italia a quei tempi si era prefissata. L’aumento della popolazione inoltre avrebbe permesso di avere un esercito il più numeroso possibile.

Istituita il 13 febbraio 1927, interessava i celibi di età compresa fra i 25 ed i 65 anni, chi in pratica non aveva incontrato una dolce donzella da impalmare era costretto a pagare un balzello composto da un contributo che variava a seconda dell’età (partiva da 70 lire per le fasce più giovani – tra i 25 e i 35 – per arrivare 100 se fino a 50 anni, per poi abbassarsi se si superava tale età a 50 lire. Gli over 66 venivano infine esentati dalla tassa. Tali importi vennero aumentati due volte nell’ aprile 1934 e nel marzo 1937. Ma non solo: il balzello prevedeva un’aliquota aggiuntiva che variava a seconda del reddito del soggetto.

Il denaro derivante dal gettito andava poi devoluto all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, un ente assistenziale italiano fondato nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà e per l’educazione dei giovani fin dalla prima infanzia. Le misure per dare alla luce nuova prole furono anche altre: premi di natalità, cerimonie nuziali di massa; e i vari premi ed esenzioni fiscali per le famiglie che superavano un certo numero di componenti.