Frodi: detrazione dell’Iva possibile se il contribuente è estraneo

La sentenza 1364 che la Corte di Cassazione ha pubblicato esattamente una settimana fa può rappresentare un importante svolta per quei contribuenti che si trovano coinvolti, a loro insaputa, nelle frodi al fisco: in effetti, la conclusione principale della pronuncia è che quei soggetti che usano delle fatture per delle operazioni inesistenti, hanno la possibilità di sfruttare la detrazione dell’Iva, ma solo nel caso in cui si riesca a dimostrare la mancata conoscenza dell’evento illegale. La sentenza della Suprema Corte si è resa necessaria dopo un processo di constatazione della Guardia di Finanza nei confronti di una società, la quale veniva accusata di aver partecipato a frodi fiscali di stampo criminale, realizzate soprattutto attraverso fatture false e operazioni commerciali “fantasma”: in base a queste disposizioni, la stessa società si vedeva notificare una rettifica dell’Imposta sul Valore Aggiunto, operazione con cui accertare venti milioni di euro indebiti.

Cassazione: anche un elicottero configura l’evasione fiscale

Anche quei mezzi di trasporto che sono intestati a una società presente all’estero rappresentano un’evasione dal punto di vista fiscale, nel caso in cui, ovviamente, il contribuente non abbia provveduto a pagare la relativa Imposta sul Valore Aggiunto; il riferimento, in questo caso, va all’amministrazione finanziaria della Svizzera. La decisione in questione deriva da una specifica sentenza della Corte di Cassazione (per la precisione, si tratta della sentenza 16860), la quale è andata a dirimere una controversia sorta tra un imprenditore e un pilota italiani e una società francese che aveva loro venduto un elicottero. Cosa è successo di preciso? Il mezzo di cui stiamo parlando era un’importazione elvetica e doveva essere utilizzato privatamente all’interno dell’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo).

 

Studi di settore: tavola rotonda Entrate – Pmi

In data odierna, 11 febbraio 2010, a Roma, s’è tenuta una tavola rotonda sugli studi di settore al fine di fare il punto sullo stato dell’arte; a darne notizia è l’Agenzia delle Entrate che ha trattato il tema con il Sose – Società per gli Studi di Settore S.p.A. – e con le associazioni delle imprese del commercio, dei servizi e dell’artigianato. Dall’incontro, ed in base ai risultati illustrati, è tra l’altro emerso come i “correttivi anticrisi” 2008 messi a punto per gli studi di settore abbiano funzionato. In merito, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha messo in risalto il fatto che sono stati oltre un milione i contribuenti che, applicando i correttivi, hanno mantenuto la congruità degli studi o si sono avvalsi di una riduzione per quel che riguarda i maggiori ricavi. Di conseguenza gli studi di settore anche ai tempi della crisi hanno mantenuto la loro efficacia a conferma di come, secondo le Entrate, non trattasi di uno strumento calato dall’alto.

Cassazione: gli studi di settore necessitano sempre di contraddittorio

Le ultime sentenze delle Sezioni unite della Corte di Cassazione mettono in evidenza un’interessante realtà dal punto di vista fiscale: in effetti, gli studi di settore, così come era stato disposto in precedenza per i parametri, rappresentano un vero e proprio sistema di ricostruzione del reddito del contribuente e, per tale motivo, costituiscono anche delle presunzioni semplici, le quali però devono sempre essere accompagnate dal sostegno di altri elementi volti a rafforzare la pretesa da parte del Fisco. Inoltre, dettaglio non trascurabile, l’accertamento in questione può avere luogo solamente dopo che vi è stato il contraddittorio con lo stesso contribuente. Sono queste le conclusioni a cui sono giunte, per l’appunto, le sentenze 26635, 26636, 26637 e 26638 che la Cassazione ha provveduto a pubblicare e depositare due giorni fa. Cosa possiamo recepire da queste disposizioni?

 

Detrazione indebita dell’Iva: il diritto va sempre dimostrato

Nel caso in cui un singolo contribuente abbia intenzione di far valere il proprio diritto alla detrazione dell’Iva, egli dovrà sempre fornire la prova della legittimità della fonte e della correttezza del diritto. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, la quale ha dunque rinforzato e ribadito il principio secondo cui, quando il Fisco provvede a contestare al contribuente la detrazione indebita dell’imposta (si tratta, per l’appunto, di fatture false), quest’ultima va recuperata a tassazione se il contribuente non ha provato l’effettiva esistenza delle operazioni documentate dalle fatture. La pronuncia della Suprema Corte è giunta a seguito di un ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro una sentenza della Commissione Tributaria regionale: per la precisione, questa sentenza sarebbe stata in contrasto con le disposizione del Dpr 633 del 1972.

 

L’accertamento viziato viene sanato dalla collaborazione del contribuente

Per accertamento viziato si intende quell’accertamento fiscale in cui si riscontrano irregolarità di procedura: un’importante sentenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione dello scorso mese di luglio (per la precisione si tratta della sentenza 17210) ha chiarito che una situazione di questo tipo può essere sanata nel caso in cui il soggetto controllato dimostri, anche implicitamente, di voler collaborare con l’ufficio per mettere in chiaro la propria posizione tributaria. La precisazione da parte della sentenza è giunta a seguito di una specifica vicenda: in effetti, un contribuente aveva impugnato di fronte alla Commissione tributaria provinciale due avvisi di accertamento con cui si effettuava la richiesta di maggiori importi a titolo di Iciap (l’Imposta Comunale per l’esercizio di Imprese, Arti o Professioni) per specifiche annualità, in quanto non si era ottemperato alle prescrizioni procedurali imposte dalla legge. La Commissione e i giudici tributari di primo grado avevano accolto il ricorso di questo soggetto, rendendo nulli, pertanto, gli avvisi contestati.

 

Avviso di liquidazione Iva: la decisione spetta al giudice tributario

L’avviso di liquidazione ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto rappresenta un atto che può essere impugnato di fronte al giudice tributario, nel caso si vada ad interpretare in maniera estensiva l’articolo 19 del D.lgs 546/1992, recante “Atti impugnabili e oggetto del ricorso”. Questa disposizione è ciò che risulta dalle conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione nel pubblicare la sentenza 17202 che risale allo scorso 23 luglio. Questa stessa sentenza si è resa necessaria dopo che un contribuente aveva proposto un ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano contro una cartella esattoriale, in seguito proprio a un avviso di liquidazione; il ricorso alla Cassazione è avvenuto dopo la pronuncia negativa di primo grado, anche perché lo stesso contribuente aveva ravvisato nell’atto elementi della pretesa sostanziale. Il ricorrente riteneva inoltre che l’avviso di liquidazione ai fini Iva poteva essere equiparato solamente a un avviso bonario e quindi dotato della caratteristica della non impugnabilità.

 

Niente fermo contabile per sospendere il rimborso Iva

Nel caso venga presentata un’istanza di rimborso ai sensi del Dpr 633 del 1972, il Fisco non può avvalersi dell’istituto del “fermo contabile” (lo strumento amministrativo introdotto dal Regio decreto 2440 del 1923), visto che la disciplina relativa all’Iva impone alcune garanzie nei confronti dell’Erario per proteggerlo da eventuali indebiti rimborsi d’imposta. Questa disposizione è quanto si evince dall’ordinanza che la Cassazione ha provveduto a pubblicare lo scorso 1°luglio. La sentenza si riferisce a un ricorso presentato contro la sospensione del rimborso del credito Iva relativo al 2005; la Commissione tributaria ha accolto il ricorso esulla stessa linea di pensiero si è “schierata” anche la sentenza dei giudici di appello, motivando il tutto con la violazione dell’articolo 69 del Regio decreto. La Cassazione ha invece respinto lo stesso ricorso prendendo a riferimento il fatto che in tema di rimborsi, esistono specifiche garanzie nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, una condizione, dunque, che preclude il ricorso all’istituto del fermo amministrativo.

 

Tazzine e cartoni di pizza non costituiscono prova di evasione fiscale

La sentenza pubblicata dalla Commissione tributaria provinciale della città di Agrigento ha dato ragione alla proprietaria di un ristorante-pizzeria siciliano, la quale era stata accusata di aver evaso il fisco per ben 72.169 euro in Iva e Irap nel 2004. Il principio su cui si è basata questa sentenza è abbastanza semplice: infatti, si parte dal presupposto che tazzine di caffè e cartoni di pizza non costituiscono dei ricavi veri e propri, dunque il metodo induttivo non sempre può funzionare in questo senso, soprattutto quando il fisco non fornisce al giudice la lista dei prezzi del presunto evasore. Come si era arrivati all’accusa di evasione? Secondo le Entrate di Canicattì, il ristorante, il quale era stato oggetto di quattro accertamenti in un solo anno, non andava a contabilizzare le rimanenze: il fisco, pertanto, era andato a “ricostruire” i presunti ricavi sulla base del conteggio di tazzine, bicchierini e cartoni, il cosiddetto metodo induttivo, appunto. Si tratta di una tipologia di accertamento ritenuta legittima dalla Cassazione attraverso varie sentenze, ma in questo caso non ricorrono i presupposti di base.

 

L’ex socio che non comunica col Fisco rischia di pagare imposte e sanzioni

La comunicazione col Fisco è da sempre un elemento fondamentale e imprescindibile: tale fattore è ora stato ancor più evidenziato da una sentenza della Corte di Cassazione (la 11548 dello scorso 19 maggio), la quale ha espressamente disposto che un socio che esce da una compagine aziendale è tenuto a pagare imposte, interessi e sanzioni nel caso non abbia comunicato all’Amministrazione Finanziaria la propria uscita dalla società. In questo caso, poi, a tale soggetto non è nemmeno consentito effettuare una rivalsa nei confronti della stessa azienda che lo ha inserito nella dichiarazione dei redditi anche dopo l’allontanamento. La sentenza della Cassazione si riferiva al caso di una richiesta di risarcimento proposta da un agente assicurativo verso un suo ex socio. Non è stato dunque possibile accettare la domanda di risarcimento del danno per l’erronea comunicazione dei dati fiscali: il Fisco ha precisato di non essere a conoscenza della cessazione dell’attività del soggetto, ed ha quindi ritenuto non fedele la dichiarazione di quest’ultimo, che aveva dichiarato un reddito nettamente inferiore. L’onere di comunicare all’Amministrazione la conclusione del rapporto di lavoro spettava solamente al socio, insieme all’impugnazione dell’erroneo accertamento del Fisco.

 

Imposta di registro per la vendita di un fondo destinato a centro sportivo

La Suprema Corte è intervenuta per disciplinare una casistica funzionale alla definizione di area edificabile: la sentenza 10713 dello scorso 11 maggio ha infatti stabilito che la vendita di un terreno destinato in base al piano regolatore a divenire un centro sportivo deve essere sottoposta all’imposta di registro. La Corte ha anche spiegato, ai fini di questa decisione, che non rileva la presenza di un basso indice di edificabilità. Perché ci si è dovuti pronunciare in proposito? Due srl avevano fatto ricorso contro un avviso di liquidazione, con cui l’Amministrazione richiedeva appunto l’applicazione di tale imposta proporzionalmente alla cessione di terreni: per l’ufficio non sussistevano i requisiti per sottoporre l’operazione all’imposizione dell’Iva.

 

La Cassazione avvalora le dichiarazioni dei terzi all’Amministrazione finanziaria

Secondo due recenti sentenze della Corte di Cassazione, le dichiarazioni prestate da soggetti terzi agli organi investigativi dell’Amministrazione Finanziaria e trascritte nel verbale possono costituire uno dei giudizi fondamentali per la dimostrazione di una evasione fiscale. Le sentenze sono, per la precisione, le numero 6536 e 6548 del 18 marzo 2009. La prima sentenza si riferisce a una rettifica dell’imponibile di una società in nome collettivo ai fini Ilor e Irpef. La corte ha ravvisato, in questo senso, che:

Le dichiarazioni dei  soggetti terzi nel processo tributario rappresentano un principio di prova che, corroborato e integrato da altre circostanze di fatto, può dare la possibilità di comprovare i fatti in contestazione.

La seconda sentenza si riferiva invece all’emissione da parte dell’ufficio di Roma 4 di due avvisi di accertamento ai fine Irpeg e Ilor e un avviso di rettifica della dichiarazione relativa all’Imposta sul Valore Aggiunto nei confronti di una srl.

 

La Cassazione conferma l’esenzione Iva per le aree demaniali

Secondo la Cassazione la concessione demaniale non è soggetta all’imposizione dell’Iva; la recentissima sentenza della corte ha stabilito infatti che questo tipo di concessione, effettuata attraverso il conferimento di un ente pubblico economico ad un soggetto terzo del diritto all’uso di un’area di demanio pubblico, rientra nella definizione di locazione di beni immobili stabilita dalla direttiva comunitaria relativa all’imposta sul valore aggiunto n. 388 del 1977. La questione su cui ha dovuto giudicare la Cassazione era sorta dal fatto che il consorzio che aveva in gestione le aree demaniali del porto di Genova non versava l’imposta riguardo alla fatturazione dei canoni percepiti per la concessione di tali aree agli operatori del porto: l’amministrazione finanziaria aveva contestato lo svolgimento di tali prestazioni, ma i giudici hanno respinto il ricorso.