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Il flop della tassa sulla pornografia

L’iniziativa aveva destato reazioni contrastanti, ma a distanza di tempo bisogna fare un bilancio: la porno-tax, tributo ideato in tempi non sospetti dai partiti di centrodestra e approvato due anni fa, ha avuto una fine che poteva comunque essere prevista. In effetti, la tassa sul mondo dell’hard, sui suoi produttori e sui distributori di materiale pornografico, serviva per far cassa e rimpinguare l’Erario, ma il gettito non è stato quello atteso.

Gli incassi sono stati pari a ventuno milioni di euro lo scorso anno, mentre non più tardi di sei anni fa si parlava con entusiasmo di ben 220 milioni. Il motivo di questo flop è presto detto: in pratica, le produzioni in questione hanno deciso di spostarsi in altri paesi e nazioni, con le distribuzioni che sono riuscite a scovare nuovi canali per evitare la tassa. Tutti gli obiettivi prefissati si sono sbriciolati progressivamente. L’introduzione della porno-tax prevedeva addirittura una vera e propria stangata per i soggetti colpiti, con una addizionale del 25% sui redditi derivanti dalla cinematografia in questione. L’istituzione ufficiale si deve a un deputato di Forza Italia, Vittorio Emanuele Falsitta, il quale la ideò nel 2002: nel 2005, poi, la proposta tornò in auge grazie all’interessamento di Daniela Santanchè.

Non è bastato nemmeno essere precisi per quel che riguarda la definizione del porno da colpire, vale a dire i giornali e le riviste specializzate, ma anche le opere letterarie, teatrali e cinematografiche in cui sono presenti immagini o scene che contengono atti sessuali espliciti e non simulati. Il provvedimento fu immediatamente definito dai soggetti colpiti come “disastroso”, anche se l’esenzione fiscale poteva essere concretizzata per quel che concerne gli amplessi abilmente recitati, dato che vi fu qualche imprecisione di troppo da questo punto di vista. Tra l’altro, la pornografia dilaga su internet e non è più necessario acquistare dvd se si vuole fruire di questi film.