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Contributi silenti nel caos

Dopo aver discusso in un precedente articoli dei contributi figurativi per raggiungere la pensione, parliamo di un tema molto caldo in queste settimane; vale a dire i contributi silenti, quelli versati in 15 anni da parte dei contribuenti (soprattutto precari) versati all’Istituto previdenziale a fondo perduto.

Sono chiamati anche “quindicenni” perché hanno maturato 15 anni di contributi al 31 dicembre 1992 ma che oggi rischiano di sparire dopo la riforma del Ministero Fornero; i contributi silenti sono quelli versati all’Inps durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, e che risultano insufficienti a garantire l’accesso alla pensione. Quindi se non si raggiunge il minimo richiesto per maturare il diritto alla pensione, questi contributi vengono usati per pagare le pensioni di altri.

Quindi  alzare la soglia minima di contribuzione a 20 anni, mentre la normativa precedente (varata dal Governo Amato nel 1993) concedeva a chi avesse versato 15 anni di contributi entro il 1992, di poter andare in pensione a 60 anni, aumenta il “buco” dell’Inps, e sarebbe il caso che in questa situazione ad intervenire fossero i sindacati.

Il problema nasce dallo spostamento di 5 anni imposto dalla riforma pensioni che ha fissato a 20 anni l’anzianità contributiva necessaria per accedere alla pensione. Molti si domandano perché questi contributi  non vengono restituiti in attesa che il soggetto maturi l’anzianità contributiva necessaria. Ma il direttore Nori ha dichiarato che non ci potrà essere alcuna restituzione altrimenti si rischierebbe l’Inps rischia il fallimento. L’ammontare dei “contributi silenti” è difficile da accertare, ma si tratta  di una cifra tra i 7 e 8 milioni di Euro.

Il Ministero getta acqua sul fuoco, annunciando la salvezza dei contribuenti silenti che potrebbero andare in pensione con le vecchie regole, e la stessa Fornero si è detta disponibile a rivedere la situazione.