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Le accise e le imposte che gonfiano i prezzi dei carburanti

I rincari recenti dei carburanti italiani sono sotto gli occhi di tutti: benzina e gasolio hanno viaggiato a ritmi impressionati e si sono anche superati i due euro al litro, una soglia davvero pericolosa. L’aumento delle tariffe in questione si spiega con la loro particolare formazione, visto che nel nostro paese è in vigore una doppia tassazione indiretta, con le accise e l’Imposta sul Valore Aggiunto a farla da padrona, visto che sono proprio queste ultime a rappresentare il 60% del valore finale che poi si è costretti a pagare.

Di conseguenza, le parti del prezzo del carburante sono tre, vale a dire l’accisa, la tassa che va a rimpinguare le casse dello Stato, l’Iva (l’aliquota prevista è quella massima, al 21% per la precisione) e la porzione di valore che diventa un guadagno per l’azienda attiva nel settore petrolifero. Se Iva e accise non fossero presenti, il costo sarebbe senza dubbio inferiore a un euro. Per quale motivo, invece, esiste una imposizione fiscale tanto pesante?

Anzitutto, c’è da dire che l’accisa si determina in base a una tabella che è presente nel cosiddetto Testo Unico sui Consumi: volendo essere ancora più precisi, il testo normativo appena menzionato non è altro che il Decreto legislativo 504 del 1995. Esso ha visto modificata tale tabella nel corso degli anni, tanto che il valore attuale dell’accisa sfiora i settantatré centesimi di euro. Il suo scopo è presto detto, perché si tratta di una imposta che è spesa in modo generalizzato dallo Stato e che è in grado di finanziare dei progetti e degli interventi: i casi emblematici sono quelli dei terremoti e dei disastri naturali, ma non si capisce il motivo per cui nel 2012 debba continuare il finanziamento di eventi lontanissimi nel tempo, in primis la Guerra d’Abissinia (1935), il disastro del Vajont (1963) e il terremoto del Belice (1968).

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