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Iva: richiamo formale dell’Ue su due direttive

Un nuovo richiamo formale dell’Unione Europea ha visto come protagonista principale l’Italia: per quale motivo si è reso necessario l’intervento di Bruxelles nei confronti del nostro paese? La Commissione Europea ha invitato in maniera formale a conformarsi a quanto previsto dalla legislazione comunitaria in merito al sistema comune di imposta sul valore aggiunto e al contrasto dell’evasione fiscale collegata alle importazioni. In pratica, la richiesta esplicita è andata nella direzione dell’adozione e della comunicazione delle misure nazionali che hanno come obiettivo questi due argomenti. Sono due anche i riferimenti che valgono dal punto di vista normativo.

Il primo di essi è la Direttiva Comunitaria 162 del 2009, la quale è stata introdotta per modificare una direttiva precedente per quel che concerne appunto l’Iva stessa; nello specifico, il principale intento di tale testo è stato quello di applicare nella maniera più coerente possibile il sistema tributario in questione, cercando di venire incontro alle principali esigenze delle imprese e dei consumatori e con una focalizzazione particolare in relazione a diversi settori, come ad esempio quello dell’energia elettrica, del gas, degli impianti di riscaldamento e di quelli di raffreddamento. L’altro testo è la Direttiva Comunitaria 69 del 2009, la quale è stata progettata sempre per modificare la medesima direttiva citata in precedenza; in questo caso, però, l’attenzione è stata rivolta all’evasione fiscale relativa all’importazione di beni, al fine di evitare le frodi e di rendere più trasparente il regime tributario di riferimento.

Il fatto che il nostro paese non abbia attuato le due legislazioni appena elencate comporta diversi problemi, tra cui, non ultimo, quello di una maggiore esposizione alle frodi stesse, come è facilmente intuibile. La richiesta formale, tra l’altro, è stata espressa tramite un apposito parere motivato, la classica seconda fase di un’infrazione comunitaria. Nel caso in cui, infine, dovessero passare altri due mesi infruttuosi da questo punto di vista, si potrebbe richiedere l’intervento della Corte di Giustizia dell’Ue.

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