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Fisco e imprese: Confesercenti propone un patto triennale

Le Associazioni delle piccole e medie imprese, ed in particolare la Confesercenti, per voce del suo presidente, Marco Venturi, chiede al Governo, al fine di uscire dalla situazione di emergenza, di aprire un tavolo di confronto finalizzato all’istituzione di un patto della durata di tre anni che spazi dai consumi al credito passando per il fisco. Il patto, tra l’altro, dovrà servire per fare in modo che molte piccole e medie imprese evitino la chiusura, possano crescere ed innovarsi e possano altresì superare alcuni svantaggi competitivi presenti. Tali richieste, in particolare, sono state formulate dal Presidente della Confesercenti nel corso di un intervento durante il quale è stata presentata una ricerca sul “quadro macroeconomico per l’economia italiana” a cura dell’Ufficio economico dell’Associazione di categoria in collaborazione con il Ref.

Il patto su fisco, credito e consumi si rende tra l’altro necessario al fine di individuare degli obiettivi che siano chiari, programmatici, certi e controllabili, visto che allo stato attuale le previsioni parlano di un rapporto deficit/PIL al 5,5% e di un debito pubblico italiano al 120% con conseguenti ricadute negative sulla pressione fiscale che, di conseguenza, rischia di rimanere troppo alta addirittura per parecchi anni. Riguardo al fisco, il Presidente della Confesercenti, al fine di far letteralmente “respirare” le piccole e medie imprese, chiede che venga innanzi tutto alleggerito il “carico” derivante dagli studi di settore, e che, al fine del rilancio della domanda e delle PMI del turismo, si adottino provvedimenti finalizzati all’abbattimento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Le piccole e medie imprese, cosa nota a tutti, hanno tra l’altro pagato più di tutte, rispetto alle grandi imprese, la crisi con la stretta sul credito; ma hanno altresì pagato a caro prezzo sia i costi della burocrazia che risulta essere ancora poco efficiente, sia i costi dell’energia visto che quelli praticati alle PMI in Italia sono superiori rispetto alle piccole e medie imprese europee e penalizzanti rispetto a quelli, più leggeri, sostenuti dai “grandi consumatori“.