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Sacchetti di plastica: la tassazione può ridurne l’impiego

Il 2011 è l’anno del definitivo tramonto dei sacchetti di plastica: si tratta, in effetti, di uno strumento che ha provocato un peggioramento non indifferente dell’ecosistema, dunque è necessario trovare un rimedio rapido ed efficace per il suo smaltimento. L’India è stato il primo paese a bandire i sacchetti addirittura undici anni fa, ma un po’ tutta l’Asia e l’Africa si sono contraddistinte per delle decisioni analoghe negli anni passati (ad esempio in Bangladesh o in Uganda). Nel nostro paese questo divieto vale soltanto dallo scorso 1° gennaio, ma l’Unione Europea non ha ancora precisato termini e modalità della messa al bando di buste e sacchetti in modo da armonizzare maggiormente la normativa in questione. Una delle soluzioni più dibattute è quella dell’imposizione fiscale: adottare una tassa che vada a colpire tale ambito significa essenzialmente consentire il concorso alle spese pubbliche, ma anche penalizzare un settore economico e dei consumi ben precisi.


Proprio il nostro paese aveva adottato una misura di questo tipo nel 1988 quando la legge 478 istituì la cosiddetta imposta di fabbricazione da applicare agli shoppers che non fossero biodegradabili. Il successo fu buono, visto che l’utilizzo dei sacchetti diminuì addirittura di ben trenta punti percentuali a causa dell’effetto dissuasivo del testo normativo, ma poi nel 1993 l’intero complesso venne abrogato e la busta è giunta fino ai giorni nostri, quando veniva pagata cinque centesimi ad unità.

Un modello da seguire, invece, potrebbe essere quello irlandese; a Dublino e dintorni, infatti, c’è un tributo pari a quindici centesimi sui sacchetti in modo da ridurne drasticamente l’uso e contrastare efficacemente l’inquinamento, una scelta che ha avuto riscontri positivi, visto che il consumo è sceso del 90%. Anche Scozia, Malta, Belgio e Svizzera possono vantare risultati soddisfacenti grazie alle cosiddette “tasse punitive”. Negli Stati Uniti, invece, vige una tassa pari a cinque centesimi di dollaro per ogni busta venduta al consumatore che effettua la spesa, altro esempio che potrebbe ispirare i legislatori.

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