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Il punto sui paradisi fiscali nel 2012

I paradisi fiscali maggiormente attivi nel mondo stanno per essere costretti a rendere più trasparenti i loro atti: visto che i regolatori hanno intenzione di controllare tutti i flussi di denaro in questo senso, i governi internazionali, anche quelli che finora si sono caratterizzati per una strenua difesa dei segreti finanziari (il tipico esempio è quello della Svizzera), dovranno far fronte a una pressione nuova di zecca per quel che concerne la condivisione delle informazioni bancarie. Di conseguenza, molti di essi avranno l’obbligo di modificare le politiche sin qui adottate. Istituti privati e manager non avranno alternative e dovranno preferire agli assets del cosiddetto “denaro nero” dei conti che siano più trasparenti possibili.

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Per anni e anni, infatti, gli esecutivi occidentali hanno tollerato i centri offshore e questi stessi paradisi, dei luoghi cioè in cui “parcheggiare” denaro e liquidità al riparo dalle rigide normative fiscali interne. La stessa Svizzera, in particolare, è riuscita a sviluppare una incredibile reputazione per quel che concerne la propria segretezza e la custodia di molti patrimoni ingenti. Qualche novità ha cominciato a divenire reale e concreta già quattro anni fa, nel momento in cui scoppiò la prima crisi economica a causa dei tristemente celebri mutui subprime americani.

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Non è un caso che siano state proprio le autorità a stelle e strisce le prime ad avviare controlli più severi e decisivi nei confronti del credito elvetico, con Ubs, la maggior banca del paese europeo, che rivelò di aver aiutato migliaia di contribuenti a nascondere il proprio denaro dalle “grinfie” dell’Internal Revenue Service. Le liste nere dell’Ocse sono state un ulteriore passo nella direzione giusta, grazie a un numero sempre crescente di accordi e collaborazioni tra le nazioni sospette (Isole Cayman, San Marino, Liechtenstein e molti altri): si tratta di un processo costoso ma necessario, altrimenti il cancro dell’evasione non verrà mai estirpato.