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Fisco, la fattibilità della rivoluzione fiscale progettata del Governo

Nei giorni scorsi, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato una forte rivoluzione fiscale che prevede un’ingente riduzione delle tasse. Si partirebbe dall’eliminazione dell’imposta sulla prima casa e la manovra lievita intorno ai 24 miliardi.

Così, i tecnici del ministero dell’Economia e quelli della Uil hanno iniziato a fare alcuni ‘conti’. I primi calcoli provenienti dal Governo dicono che l’addio alla Tasi sulla prima casa, assieme all’Imu sui macchinari cosiddetti “imbullonati”, ovvero tassati come capannoni, costerebbe alle casse pubbliche 4,2 miliardi.

Cifra che si aggiunge ai 16,8 miliardi che il Mef aveva già in progetto di reperire per eliminare le clausole di salvaguardia che altrimenti avrebbero contemplato un aumento delle aliquota Iva e delle agevolazioni fiscali e lo stop della Commissione sul reverse charge espanso alla grande distribuzione. Sostengono gli esperti:

La lista degli impegni è tuttavia lunga. A partire dagli effetti delle diverse sentenze della Corte Costituzionale, che ha costretto il governo a mettere in conto per il prossimo anno alcune “poste” non previste. Prima i 700 milioni per coprire il mancato gettito dalla Robin Tax, giudicata incostituzionale, poi la sentenza sulla mancata indicizzazione delle pensioni nel triennio 2012-2015. Trovate le risorse per restituire il pregresso, l’esecutivo dovrà poi reperire a regime 500 milioni di euro per garantire le nuove rivalutazioni. Tutta da scrivere invece la trattativa con i sindacati per il rinnovo del contratti il pubblico impiego. Nel Documento di economia e Finanza, il costo dello lo sblocco dei contratti era stato stimato in 1,66 miliardi nel 2016.

Il tutto al netto di altri interventi che il governo ha messo in programma in questi mesi. Dall’estensione della decontribuzione per i neoassunti che vale, se replicata tale e quale a quest’anno, almeno 2 miliardi per il solo 2016 e delle possibilità di flessibilità in uscita dal mondo del lavoro per permettere di andare in pensione prima a fronte di una riduzione dell’assegno pensionistico. Ipotesi che tra le altre cose il presidente dell’Inps Tito Boeri ha già bocciato, definendola “molto costosa”, e che potrebbe gravare sui conti pubblici per 8,5 miliardi.