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India e Isole Mauritius, le insidie dell’alleanza tributaria

Il clima tropicale, le spiagge da sogno e la ricca vegetazione: sono queste le prime immagini che ci vengono in mente se pensiamo alle Isole Mauritius, la nazione insulare da sempre conosciuta come “stella e chiave dell’Oceano Indiano”. Ma l’ex colonia britannica rappresenta in questo momento soprattutto l’ultimo dei paradisi fiscali in ordine temporale, con delle prospettive di crescita che non possono non preoccupare. Questo discorso si ricollega idealmente alla recente visita del presidente statunitense Obama in India, paese elogiato dal leader della Casa Bianca per la sua flessibilità e per le previsioni economiche e produttive a basso costo; ma lo stato asiatico ha anche posto in essere delle alleanze fin troppo pericolose con diversi centri offshore, nonostante i gettiti apprezzabili che vengono annunciati a tutto spiano.


India e Mauritius hanno instaurato proprio uno di questi accordi, tanto che, nel giro degli ultimi tre anni, gli investimenti sono aumentati in maniera esponenziale, facendo registrare un flusso di attività pari a svariate decine di miliardi di dollari. Dunque, non deve stupire assolutamente il fatto che questo paradiso fiscale rappresenti il maggiore contribuente in territorio indiano; d’altronde, questa tendenza viene agevolata anche dall’amministrazione finanziaria di Nuova Delhi (si tratta, nello specifico, dell’Income Tax Department of India), sempre più disposta a far ritornare nelle proprie casse i capitali esteri.

Il fenomeno, comunque, è piuttosto curioso, visto che le entrate indiane hanno tratto soltanto degli effetti benefici in questo senso, anche perché il denaro proveniente dallo stato africano è diventato in pratica un flusso stabile di tasse e imposte. Gli investimenti diretti esteri ammontano attualmente a ben cinquanta miliardi di dollari, una somma che è stata accumulata a partire dal 2000; in tal modo si è in grado di trasferire all’erario circa otto miliardi di dollari, un dato che prende in considerazione lo stato di salute dell’economia interna, oltre alle entrate tributarie che si aggirano attorno al 15% dell’intero volume.

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