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PepsiCo: i tagli fiscali possono favorire l’occupazione

Le compagnie americane potrebbero licenziare un numero maggiore di dipendenti nell’ipotesi in cui gli Stati Uniti dovessero tagliare le principali imposte dal denaro che esse traggono dalle sussidiarie estere: la constatazione tributaria è giunta direttamente da PepsiCo, celebre multinazionale attiva nella produzione e commercializzazione di bevande, e dal suo ceo Indra Nooyi. Alcuni profitti aziendali vengono “intrappolati” direttamente nelle nazioni straniere a causa delle imposte troppo alte a livello domestico. Il rimpatrio fiscale del denaro, poi, beneficia di un’aliquota pari al 15%, il quale deve poi essere confrontato con il 35% societario, un modo che può essere definito creativo per indirizzare la disoccupazione senza aggiungere ulteriore pressione al deficit. Il presidente Barack Obama e altri legislatori hanno fatto riferimento a livelli minori per quel che concerne la cosiddetta “corporate tax”, anche perché l’obiettivo principale di politica economica è quello di ridurre il tasso di disoccupazione, attualmente all’8,8%.


Il cambio di tutto ciò, le deduzioni fiscali e i vari crediti dovrebbero essere eliminati per poi accrescere il reddito totale, secondo quanto trapela dalle indiscrezioni più convincenti. Le imprese a stelle e strisce vantano una pressione tributaria piuttosto elevata, la sesta a livello globale, come è emerso da una ricerca di PricewaterhouseCoopers: il tasso in questione ammontava al 27,7% nel quadriennio 2006-2009, mentre la media del resto del mondo è nettamente più bassa, il 19,5%.

Le richieste esplicite del governo di Washington sono ben precise, con le aziende che sono di fatto obbligate a versare l’aliquota più alta su questa imposta, la quale va a colpire i profitti che sono stati conseguiti al di fuori dei confini americani, nonostante essa consenta anche una sorta di deferimento della tassazione fino al momento in cui il denaro non è stato incassato realmente in patria. Due terzi dei redditi, poi, potrebbero essere utilizzati dal governo stesso per scopi generali, il restante un terzo andrebbe a finanziare il lavoro dei dipendenti.